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Pubblicata
in: Previdenza
il 06 giugno 2016 09:51
Negli
ultimi 15 anni il potere di acquisto delle pensioni è diminuito del
30%. Tra le cause, un prelievo fiscale pesante e punitivo al confronto con gli altri Paesi dell'Unione europea. La ricerca Cer e le proposte di 50&Più e Cupla
di Gianni Tel, 50&Più
I l
grido di allarme lanciato già da qualche anno alle attuali
forze politiche dall'Associazione 50&Più insieme al Cupla
(Comitato Unitario Pensionati Lavoro Autonomo) è contenuto in una
seconda ricerca commissionata al Cer (Centro Europa Ricerche). Questa
nuova indagine, che verrà prossimamente presentata alla stampa e al
pubblico, offre ulteriori spunti di grande attualità e costituisce
una importante base di riflessione e di proposte. Il
blocco delle pensioni con la restituzione assai parziale (meno
del 12% del totale), il mancato adeguamento del costo della vita, il
repentino innalzamento dell’età pensionabile per le donne,
i requisiti di contribuzione per la pensione anticipata ed il
progressivo inasprimento della tassazione restano la parte più
grave, iniqua e dolorosa introdotta dal legislatore in questi ultimi
anni.
Questi
provvedimenti stanno comportando un duro sacrificio per tutti i
pensionati e pensionandi: è giunto il momento di cambiare rotta
ed è sbagliato contrapporre lo Stato sociale alla crescita
economica. Anzi, è proprio lo Stato sociale quel motore di sviluppo
e di slancio che potrebbe far ripartire il nostro Paese.
Gli
anziani hanno maggiormente pagato gli effetti della crisi e la
ripresa resta lenta se la parte meno agiata, e più numerosa, dei
cittadini non ha capacità di spesa.
I
loro trattamenti pensionistici hanno perso progressivamente valore
rispetto al reale costo della vita (anche a causa dei blocchi della
rivalutazione automatica e deflazione) e i loro redditi hanno
scontato il peso di un fisco più aggressivo a livello locale.
Ma
anche l’aumento dei costi per la sanità – a cui come è noto gli
anziani sono costretti a ricorrere più ampiamente rispetto ad altre
fasce di cittadini – la diminuita disponibilità di prestazioni
sociali da parte delle amministrazioni locali e l’aumento dei
servizi pubblici, ne hanno eroso le disponibilità economiche
spingendoli sempre più ai margini della società. In estrema sintesi
sono queste le proposte che si avanzano.
Pensioni
basse e povertà
In
Italia la metà dei pensionati, circa 7,4 milioni il 44% del
totale, vivono in una condizione di semipovertà in quanto hanno
redditi da pensione per un importo mensile inferiore a 1.000
euro lordi. Tra
queste, sono circa 2,2 milioni le pensioni erogate dall’Inps non
superiori al livello minimo che è di 502 euro mensili. Si pone,
quindi, da una parte la necessità di un adeguamento dell’importo
minimo alleviando le condizioni di assoluta povertà in cui versa
una parte importante dei pensionati e, dall’altra parte, agire sui
meccanismi di rivalutazione automatica (costa della vita) e di
prelievo fiscale per ridare un po’ di capacità di spesa ai
pensionati. Nello
specifico, per i trattamenti minimi la soluzione potrebbe essere
applicare i principi della Carta Sociale Europea, adeguando
gradualmente l’importo di dette prestazioni (€ 502 mensili
per il 2016) – come esorta il Comitato Europeo dei diritti sociali
– al 40% del reddito medio nazionale equivalente (circa € 650
mensili).
Potere
di acquisto delle pensioni
Il
potere di acquisto delle pensioni ha subito negli ultimi 15 anni
una diminuzione del 30%. I
dati della ricerca del Cer evidenziano che alla perdita di potere
delle pensioni, in misura crescente in funzione dell’importo, si
somma anche l’effetto del prelievo fiscale. Si
avverte, quindi, la necessità assoluta di un meccanismo più
specifico di rivalutazione automatica delle pensioni che sia più
adatto a rilevare l’inflazione effettivamente subita dalle famiglie
e che rifletta maggiormente le caratteristiche del paniere dei
pensionati, in cui sia adeguatamente ampio il peso dei beni
alimentari, energetici e dei servizi sanitari e spese per la salute. Inoltre,
andrebbe utilizzato l’indice dei prezzi armonizzato per
tutti i Paesi Europei (IPCA), abbandonando l’indice dei prezzi per
le famiglie di operai e impiegati (FOI), che negli ultimi quindici
anni (vedi grafico) ha registrato una minore inflazione cumulata pari
al 4% rispetto all’IPCA.
Fonte:
Centro Europa Ricerche
N.B.
In particolare, l’ISTAT produce tre diversi indici dei
prezzi al consumo:
- per
l’intera collettività nazionale (NIC)
- per
le famiglie di operari e impiegati (FOI)
- l’indice
armonizzato europeo (IPC
Riequilibrio
della pressione fiscale
Oltre
alla riduzione del cuneo fiscale già prevista solo per i lavoratori
dipendenti, che con una retribuzione mensile di 1.500 euro hanno
recuperato 80 euro mensili in più, è necessario ridurre la
pressione fiscale anche ai pensionati. Limitare
l’intervento ai soli lavoratori dipendenti resta una misura
ingiusta e assolutamente non in linea con l’obiettivo
dichiarato dall’Esecutivo di sostegno sociale e di rilancio dei
consumi.
Con
l’ultima legge di stabilità l’allineamento delle detrazioni (No
Tax Area) dei pensionati a quella dei dipendenti è stato molto
parziale. Per un pensionato di almeno 75 anni il risparmio fiscale
massimo è pari a € 114 annui in corrispondenza di un reddito pari
a € 8.000, poi decresce fino ad annullarsi per redditi pari o
superiori a € 15.000.
Se
poi si guarda al periodo 2011-16 le pensioni basse e medio
basse (fino a 4 volte il minimo Inps) hanno registrato, al netto del
prelievo fiscale, una perdita del potere di acquisto tra il 3% e
il 9%, una caduta del reddito reale da attribuire totalmente alla
politica fiscale e, in particolare, al mancato recupero del drenaggio
fiscale e all’aggravio delle addizionali regionali e comunali.
Su
questo versante fiscale è necessario essere più incisivi rispetto
al timido allineamento delle detrazioni di base dei pensionati
realizzato quest’anno. Per i redditi medio-bassi (tra 8 e
26.000 euro) la persistente disparità delle detrazioni e
l’esclusione dei pensionati dal Bonus IRPEF (€ 80 mensili)
causano un maggior onere medio sulle pensioni pari al 5,7 %. Un
pensionato con un reddito di € 15.000 viene gravato di un’imposta
personale di oltre € 100 al mese rispetto a un dipendente di pari
reddito.
D’altronde
il trattamento fiscale dei nostri pensionati risulta pesante e
punitivo rispetto a quanto avviene nel resto dell’Europa. Il
confronto in pratica non esiste: su una pensione, ad esempio, pari a
1.5 volte il trattamento minimo (9.750 euro lorde annue) il
pensionato italiano paga le imposte (che decurtano di oltre il 9% la
sua pensione), mentre altrove (Germania, Francia, Spagna e Regno
Unito) non è previsto alcun prelievo.
C’è
da considerare, poi, che la Corte dei Conti ha recentemente
evidenziato che, nel nostro Paese, già con le riforme del 2007
(Damiano) e 2011 (Fornero) è previsto un risparmio previdenziale di
oltre 30 miliardi di euro l’anno e per
almeno
15 anni.
Occorre
dunque ridurre la pressione fiscale anche sui pensionati
privilegiando le fasce basse di reddito. In aggiunta sarebbe
opportuno diminuire il peso degli adempimenti a carico dei
contribuenti, accelerare la messa in campo di nuovi strumenti per
colpire l’evasione e l’elusione fiscale, gli sprechi di spesa,
la corruzione e le tante ruberie, l’economia criminale e mafiosa.
LE
RICHIESTE AL GOVERNO: ripartizioni
eque e nuove ricchezze
È tempo, ed è urgente
adesso, che cessi l’insensibilità politica e si spenda grande
attenzione per i nostri anziani, visto che quote sempre più estese
stanno scivolando verso una condizione di preoccupazione,
scoraggiamento e di povertà inaccettabile.
E’
giunto il momento che i grandi decisori politici e i media smettano
di sottolineare proposte che rischiano di generare inutili contrasti
sociali – tra percettori di pensioni medio alte e percettori di
pensioni minime, tra giovani ed anziani, tra lavoratori dipendenti e
lavoratori autonomi – facendo così diventare centrale il tema
“dove tagliare” anziché quello del “come alimentare la
crescita”.
Oggi,
una cosa deve essere chiara a tutti. I pensionati italiani hanno
abbondantemente già dato, l’impegno richiesto all’attuale
Governo è quello di legiferare con grande equità e giustizia nella
ripartizione dei sacrifici. E’ importante porsi ben altri
obiettivi: non più politiche pseudo-distributive ma è necessario
creare nuove ricchezze, altrimenti non ci sarà più nulla da
distribuire
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